venerdì 11 febbraio 2011

                        Rudra Veena
In antichità in India qualsiasi strumento a corde veniva chiamato Veena. Essa nella cultura indiana ricopre un'importante spazio socio culturale. Saraswati, la dea della conoscenza, viene spesso raffigurata mentre suona la Veena. Il termine Veena deriva da Vana un antico strumento con 100 corde menzionato già nei Rig Veda (importante testo sacro indiano).
Fino al 6°sec si pensa che fosse esclusivamente privo di tasti che, presumibilmente, vennero aggiunti dal poeta Matanga Muni il quale creò uno strumento conosciuto come Kinnari Veena che, grazie alle sue caratteristiche, la resero più adatta alla recitazione dei Raga rispetto alla Ektantri Veena (lo strumento più utilizzato all'epoca).
La Kinnari Veena aveva solo 2 corde principali, un manico in bambu fornito di 14 tasti e ben 3 casse di risonanza ottenute da grosse zucche scavate. Successivamente venne dotata di un'ulteriore corda laterale per l'accompagnamento (chikari).
La Rudra Veena altro non è che l'evoluzione di tale strumento. Inizialmente chiamata Sarva Raga Mela Veena attorno al 15° sec prese il nome di Rudra (dal nome di un'antica divinita pre vedica, il dio della tempesta come viene citato nel Rig Veda, ed uno dei nomi di Shiva) Veena.
Nel periodo medievale era credenza che molti divinità risiedessero all'interno della Veena; Shiva nel manico (dand), Uma nelle corde, Vishnu nei perni di fissaggio delle corde (kakubh), Laxmi nel ponte (javari), Brahma nelle casse di risonanza (tumba), il sole nei tasti.
La sua attuale forma risale agli inizi dell'era Mogul. Le casse di risonanza sono 2 grosse zucche scavate del diametro di circa 50 centimetri, un manico in legno (in origine era in bambu ma creava problemi di durata nel tempo) sul quale sono fissati 24 tasti con una sottile lamina in acciao nel punto di contatto con le corde (4 principali e 3 d'accompagnamento poste lateralmente) in acciaio e bronzo.
Il suono ricopre ben 3 ottave complete e la conformazione dei tasti permette, con la tecnica del meend ("tirare" le corde), di riprodurre in modo eccellente i microtoni (Shruti).
Molto usata in principio esclusivamente per accompagnare l'esecuzione del Dhrupad, il più classico degli stili di canto indiano, nei secoli si ritagliò sempre più uno spazio come strumento solista grazie alle sue similitudini, in timbro e intensità, alla voce umana ed alla possibilità di riprodurre in modo eccelso le più raffinate tecniche vocali. I suoi maggiori esponenti sono stati Zia Mohiuddin Dagar, Sadiq Ali Khan e il figlio Ustad Asad Ali Khan
Purtroppo sta diventando uno strumento sempre più raro a causa delle sue difficoltà tecniche, posturali e di praticità nel trasporto date le dimensioni e la fragilità.

domenica 30 gennaio 2011

                              Sitar
Il Sitar è lo strumento indiano maggiormente conosciuto. La sua invenzione viene attribuita al poeta del 13° sec Ameer Khusarau della corte di Allaudin Khilji anche se vi sono dubbi a riguardo visto che non viene mai citato nulla a riguardo nelle sue opere.
Un'altra teoria è quella che vorrebbe il Sitar come l'evoluzione dell'antica Tritantri Veena, una Veena (nome generalmente usato per definire uno strumento a corde) con tre corde. Anche il nome, Sitar, sembrerebbe derivare da quest'ultima teoria in quando i persiani giungendo in India e trovando difficile la pronuncia "tritantri" la modificarono in "Shetar" che letteralmente si può tradurre come tre corde (She=tre, tar=corde) e col passare del tempo divenne Sitar.
La sua forma attuale è frutto di anni di duro studio e lavoro da parte di musicisti e liutai. Si è giunti così da una semplice Veena a tre corde ad uno strumento con 18 corde e un suono molto completo ed armonioso. La cassa di risonanza è composta, come gran parte degli strumenti indiani (e non), da una zucca scavata alla quale viene aggiunto un manico in legno cavo. Il tutto ricoperto da una tavola lavorata e, generalmente, decorata ed intagliata con temi classici. I tasti sono curvi e costruiti con leghe di bronzo o acciaio e consentono l'uso di varie tecniche come quella del meend per mezzo della quale il musicista può, tirando le corde, suonare più note dallo stesso tasto (fino ad un intervallo di 4/5 note) creando effetti unici che permettono l'espressione dei micro toni (shruti) in maniera eccellente creando una sorta di massaggio interiore ed emotivo (rasa).
Il ponte (javary) è costituito da un pezzo d'osso lavorato in modo da produrre il tipico suono ronzante caratteristico di molti strumenti indiani.
Le corde sono in aciaio e bronzo rispettivamente 7 superiori, che vengono pizzicate con un plettro detto mitzrab per creare la melodia e l'accompagnamento, e 11 posizionate sotto la tastiera che, tranne in alcuni casi, suonano per simpatia creando un atmosfera unica e rendendo il suono del Sitar paragonabile a quello di un'orchestra ricco cioè di riverberi e suoni armonici.
Il 20 secolo può essere considerato l'era d'oro per il Sitar grazie ad artisti quali Ravy Shankar, Vilayat Khan, Nikhil Banerjee ed altri che hanno contribuito a migliorare e diffondere anche in occidente la cultura millenaria della tradizione musicale indiana.